Il sommelier intervista….Chef Marco Stagi

Se dovessimo decidere di fare un viaggio immaginario lungo tutta la nostra penisola e isole, ci renderemmo conto che avremmo a che fare con tanta storia, arte, musei, piazze intrinse di avvenimenti segnando in maniera indelebile la storia del BelPaese.
Ma in assoluto, è la tavola che collega la Valle d’Aosta alla Sicilia, specialità, sapori, antiche tradizioni che caratterizzano ogni territorio in cui decidiamo di soffermarci in questo viaggio immaginario.

“La cucina italiana è arte e appartiene al Mondo”, così scrive l’Unesco per definire questo patrimonio, rendendo l’Italia uno dei pochi paesi del mondo con una cucina di livello altamente rispettabile, partendo dalle ricette della nonna per finire ai piatti creati delle menti artistiche di chef gourmet, puntando al più alto riconoscimento chiamato “Stella Michelin”.

Abbiamo così il piacere di scambiare quattro chiacchiere con un giovane chef dal futuro roseo, con traguardi importanti già raggiunti e un’ idea di cucina basata sulla materia prima di qualità, ispirandosi a “Less is more”.

Ciao Marco, un immenso piacere per ASPI averti come ospite. Da dove nasce il tuo amore verso questa professione?

Marco Stagi: Tutto nasce in età molto giovane. Ero un bambino quando in occasione del pranzo della domenica (o meglio dai preparativi) mi recavo a casa della mia adorata nonna, quando invece il “rituale” di ogni famiglia era quello di andare prima a Messa per poi recarsi nelle case per il pranzo settimanale più atteso.
Alle 9 di mattina ero già in cucina, per rendere tutto bello e buono in vista del mezzogiorno.

Di quel periodo custodisco, con molta gioia, il profumo di polenta abbrustolita sul paiolo, che avvolgeva la casa.
Passano gli anni e decido di frequentare la scuola alberghiera, dove ho la fortuna di incontrare un professore fantastico, Francesco Curolo, una persona d’oro che mi stimolò nell’affrontare il mio percorso di studi e nella scelta della mia attuale professione.

Finito il percorso alberghiero, sono seguite varie esperienze di stage in ristoranti importanti (anche esteri) e da lì ho poi intrapreso la mia strada da chef.

Ci sono state anche delle esperienze all’estero? 

M.S.: Ho lavorato per tre anni in Belgio al ristorante tristellato “Hof van Cleve” dello chef Peter Goossens e ritornando al periodo di stage, per due settimane ho lavorato a Montreàl al ristorante “Toquè” per poi arrivare in Portogallo a “Torres Vedras” affiancando lo chef Leonardo Pereira.

Che forma ha preso e che identità hai dato alla tua cucina durante questi anni di esperienza?

 M.S.: La struttura portante della mia idea di cucina è certamente la materia prima di altissima qualità. Sono un amante delle verdure, dei gusti un po’ “acidi”, “rotondi”. Parlando di carni, impazzisco per quelle “invecchiate”, le pance, carni grasse e succulenti.

Il comune denominatore dei miei piatti è l’assoluto equilibrio tra i sapori delle materie prime, cercando di non far prevalere un ingrediente su un altro. Voglio una cucina minimal e concreta, che possa aiutare il cliente a definire in modo chiaro i gusti.

Come hai visto cambiare il mondo della cucina in questi anni

M.S.: Dal 2008, inizio della mia carriera da cuoco, a “La Brughiera” di Bergamo,c’era una cucina molto di materia prima, incentrata sul gusto e con tanta tecnica. Negli anni, c’è stato un focus sulle tecniche, con innovazioni e nuovi metodi, dando meno importanza all’ingrediente principale, ovvero la materia prima.

Che tipologia di vini si adatta meglio al tuo stile di cucina?

M.S.: (sorride) Spesso io e il Sommelier abbiamo “litigato” (giocosamente) perché lui cercava un piatto con cui abbinare un vino rosso di particolare importanza e struttura, ma puntualmente si ritrovava in difficoltà a causa della maggior compatibilità dei vini bianchi alla mia cucina. La scelta poi ricadeva su vini di Chablis, Borgogna e Trebbiano d’Abruzzo.

Anche quando veniva effettuato il servizio “Chef Table” dove i menù venivano creati “à la minute” e il cliente era all’oscuro di quanto sarebbe stato proposto, alla domanda “Che vino abbiniamo a questo menù?” io consigliavo un vino minerale, fresco, per lasciare un palato pulito e pronto per la portata successiva.

Anche il Sommelier ritrovava questa tipologia di vino unica soluzione per un abbinamento adeguto, ovvero bianchi fermi con le caratteristiche appena citate.

Per esempio il mio vino preferito è il Timorasso, di Marina Coppi o il Derthona di Vigneti Massa e l’ultima cena a cui ho partecipato, la scelta è ricaduta su uno Chablis, quindi i bianchi sia per gusto che per necessità, mi hanno sempre accompagnato.

Non accade tutti gli anni di vedersi assegnare una Stella Michelin e tu Marco, all’età di 33 anni, hai avuto l’onore di provare questa emozione. Ci vuoi raccontare che cosa vuol dire ricevere un riconoscimento di tale importanza?

 M.S.: È stato veramente un qualcosa di incredibile e la circostanza in cui l’ho scoperto la ricorderò come momento molto particolare. Ero in cucina intento nella pulizia dei carciofi, quando vedo apparire sul mio smartwatch una chiamata da un numero riportante il prefisso di *02*. Un po’ sorpreso e curioso di sapere chi fosse a chiamare, esco dalla cucina e premo il pulsante di avvio della chiamata. “Salve Sig, Marco la chiamo per conto di Guida Michelin e le comunico che siete invitati alla giornata dell’8 novembre”
Silenzio, in me stava già nascendo una irrefrenabile emozione. “Le chiedo però di non dire nulla a nessuno fino al momento più consono”. Ero in sala durante la chiamata e in quell’orario nessuno era presente così riuscii a mantenere il segreto fino a quando non tornai in cucina, perché i ragazzi della brigata con cui passo 18 ore al giorno, vedendo i miei occhi pieni di gioia, capirono che avevo ricevuto la chiamata più importante per uno chef.

Emozione unica e grande, soprattutto traguardo raggiunto in un periodo relativamente breve causa pandemia, limitazioni e chiusure.

I tuoi obiettivi per il futuro?

M.S. Sono giovane e mi sento come se nessuno possa fermarmi o limitarmi, vista la mia determinazione e voglia di emergere. Da pochi mesi ho dato il via al mio ristorante “Metodo”, nella località Marne, facilmente raggiungibile da Milano. Una location medievale che mi porta già entusiasmo e tanta voglia di creare e questi primi mesi di lavoro mi stanno regalando tantissime soddisfazioni.

Abbiamo capito che l’arte della cucina è stata la tua vita, quali sono dal tuo punto di vista i pro e i contro di questa professione? 

M.S. Partendo dai pro, direi enormi soddisfazioni professionali, il contatto con il cliente, il poter esprimere le proprie idee e mettere la propria mano nei piatti, poter prendere un ingrediente e trasformarlo secondo la propria idea di cucina. Un altro pro sicuramente è la possibilità di poter girare per il mondo, non mettere le radici in un determinato territorio. I contro è che si lavora, lavora, lavora…in cucina si entra alle 8.30 per uscire a mezzanotte e si stacca un’ora quando si è fortunati.

Che consigli ti senti di dare ai più giovani che si avvicinano a questa professione?

 M.S.: Fare il cuoco è un mestiere “figo”, il talento, la passione e la creatività la fanno da padrone.

Non è sicuramente quello che si vede in certi programmi della televisione, nel senso che non è così semplice e costa molta fatica, ma consiglio di essere tenaci e perseveranti, non cedere alla prima difficoltà, mantenere alta la passione e continuare lungo il percorso scelto perché, per mia esperienza, le soddisfazioni con il tempo arrivano.

Mentre che consiglio ti senti di dare ai Sommelier che lavorano nei ristoranti?

 M.S.: (scherza) Gli chef sono degli artisti estroversi, a cui piace spesso cambiare e i Sommelier devono aver ben chiara questa “estroversione”. Come primo consiglio dico di essere bravi a seguire le nostre fantasie.

Ammiro molto il lavoro del Sommelier, perché rende una cena, con già dei grandi piatti in degustazione, ancora più particolare e indimenticabile grazie anche al giusto abbinamento di un vino.

Direi anche di uscire un po’ dagli schemi, soprattutto in questo periodo nel quale si sta riducendo il consumo di alcolici, stanno prendendo piede per esempio analcolici e succhi con note particolari, eleganti, “affumicate” che io personalmente trovo molto interessanti. Dal mio punto di vista, ci trovo un estro e una ricerca da parte del Sommelier al fine di trovare una bevanda particolare che possa essere abbinata a qualche piatto gourmet.

È stato un grande piacere incontrare Marco, uno chef con molte idee, con molta voglia di arrivare in alto e “Metodo” rappresenta, nel suo prossimo futuro, il mezzo per ottenere i suoi obiettivi.

Ringraziamo Marco per il tempo che ci ha dedicato, augurando il meglio a livello professionale e personale per il suo futuro!

Ora potete visitare Marco al suo ristorante “Metodo”:

Via Vittorio Emanuele 9 – MARNE (BG)

Tel +39 342 0365600

mail: info@ristorante-metodo.it

ig: metodo_ristorante

Articolo realizzato e curato da Simone Della Torre

ASPI intervista il Vigneron…. Stefano Mancinelli 

Terra bagnata dal mare Adriatico ad est, protetta dagli Appennini ad ovest, attraversata da diversi corsi fluviali e un territorio prevalentemente collinare e montuoso.
Così, morfologicamente, si presenta la regione Marche, conosciuta dagli appassionati di vino grazie al Verdicchio e importanti uve rosse locali. Da secoli produttrice di vino, secondo analisi al carbonio 14, i primi documenti risalgono all’ VIII secolo a.C., dimostrando la coltivazione della vite nel territorio marchigiano da tribù piceno-sannitiche.

Simbolo dell’enologia regionale è sicuramente il Verdicchio, dei Castelli di Jesi e di Matelica, che negli ultimi decenni sta facendo bella mostra di sé, affiancato da vini locali storici come la Vernaccia di Serrapetrona, il Lacrima di Morro d’Alba, il Rosso Conero e i vini di Offida.

I vini rossi delle Marche sono dei veri gioielli dell’enologia italiana, ogni singolo vino ha il suo profilo organolettico unico, per cui oggi viaggeremo in questo territorio accompagnati da Stefano Mancinelli, un produttore del comune di Morro d’Alba,  artigiano del vino, con tanta esperienza e diversi anni passati a divertirsi tra i filari di un vigneto prezioso e unico nel suo genere, il Lacrima, eleggendolo simbolo distintivo dell’azienda Mancinelli.

L’azienda è specializzata nella coltivazione della vite ma anche di olivi, grazie alla zona particolarmente vocata nel marchigiano. La ricerca della qualità e l’esaltazione della tipicità dei prodotti, attraverso la cura e la selezione della produzione e i continui aggiornamenti, hanno reso Stefano un grandissimo “ambasciatore” di questa terra.

Grazie Stefano per aver accettato l’invito di ASPI, da dove inizia la storia di “Mancinelli”?

Stefano Mancinelli: Iniziò tutto con mio padre, commercialista con forte passione per il mondo enologico, produttore del proprio vino per il consumo famigliare. All’epoca era il suo “giocattolo”, e io, nel frattempo, cominciai a studiare presso la facoltà di agraria.

Conclusi gli studi, l’anno del mio ritorno al lavoro fù lo stesso in cui venne istituita la denominazione di origine “Lacrima di Morro d’Alba DOC”, (1985) evento considerato da noi come input per iniziare un fantastico viaggio insieme alla nostra azienda, trasformando l’hobby di mio padre, nel mio lavoro e passione. Posso dire di non aver mai lavorato un giorno e di essermi sempre divertito in vigna.

La parte “storica” dell’azienda è concentrata nella produzione di olio, con un frantoio di nostra proprietà dal 1878 e una distilleria in cui produciamo grappa. La produzione di olio avvenne grazie a mio nonno (inizialmente per conto terzi) e ad oggi esistono 3500 piante di ulivo di possedimento.

La produzione di vino nel 1985 si attestava intorno alle 4.000 bottiglie, oggi produciamo 150.000 bottiglie e non vogliamo produrne di più, puntiamo a conservarci!

Conservare e mantenere un livello alto di qualità, immagino.

S.M. Ci proviamo, anche se siamo sempre soggetti alla variabile clima. Quando abbiamo annate buone, il prodotto  sarà altrettanto di livello. Mi piace citare questa “battuta” ovvero: “Il bravo trasformatore è quello che non fà danni”, se si raccoglie un prodotto ottimo, grazie ad una materia di qualità ed un andamento climatico favorevole, il compito del trasformatore si limita a mantenere la qualità raccolta in vigna.

Dal territorio di Morro d’Alba, quali prodotti ha ricavato Mancinelli?

S.M.: Morro d’Alba è un territorio speciale, patria di questo vitigno autoctono, il “Lacrima”. Morro è anche uno dei comuni all’interno della Denominazione del “Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC”.

Capite bene la soddisfazione mia per i frutti che questo territorio è capace di regalare.
Ho una personale linea guida da 40 anni, ovvero “il vino deve avere il gusto e il profumo dell’uva con cui è fatto”.
Volendo valorizzare i principali due vitigni, bianco e rosso delle Marche, ho sempre seguito la purezza e prodotto vini monovarietali,  chiaramente diversificando le vinificazioni e maturazioni in bottiglia. Blend e assemblaggi non hanno mai affascinato il mio essere vignaiolo e il mio modo di produrre vino.

Riguardo al Lacrima, per chi non conosce questo vitigno, dico: una volta assaggiato e memorizzato, in un assaggio alla cieca tra altri vini rossi, questo vitigno risulta facilmente individuabile grazie a delle caratteristiche uniche e ben distinte.

Diverso il discorso che possa essere un vino apprezzato da tutti, chiaramente se fatto bene e in assenza di difetti oggettivi.

Detto questo, non è a mio avviso unicamente importante fare un vino “buono”, perché “buono” è un parametro soggettivo, quindi il processo di vinificazione e l’obiettivo finale sono indirizzati al raggiungimento della riconoscibilità e unicità del prodotto.

Per fare ciò evito assemblaggi o blend, i passaggi in legno sono assenti o molto poco aggressivi, per evitare così di far perdere le caratteristiche sensoriali proprie del prodotto.

Secondo questa filosofia, quanti e quali vini producete?

S.M.: Nel mio caso produco sei tipologie di Lacrima e 4 di Verdicchio. Partendo dal Verdicchio, abbiamo un “Verdicchio Classico” e un “Verdicchio Classico Superiore”, passando poi alla selezione “Terre dei Goti” un prodotto ottenuto da appassimento di 4 mesi del Verdicchio, per chiudere con “Stell” in versione Passito. Dal vitigno rosso, produco un macerato carbonico e, a differenza di quanto può sembrare, grazie anche ad una macerazione più lunga con estrazione di più sostanze, è un vino longevo. Dopo sette, otto anni, mantiene tranquillamente la sua tipicità.

Lacrima di Morro d’Alba DOC e Superiori sono le due versioni tipiche di questa nostra linea. Produciamo un metodo classico rosso, volendo uno spumante differente e degno del Lacrima, che possa distinguersi da altri spumanti ottenuti da uve a bacca rossa. Chiudo la linea con due vini sempre ottenuti da Lacrima, uno in versione Passito secco, con 4 mesi di appassimento, mentre il secondo è un Passito dolce, entrambi affinati in legno.

Possiamo comprendere come il vitigno Lacrima regali grandi vini, così come il Verdicchio.                         Secondo Mancinelli, questi due vitigni hanno avuto il riconoscimento giusto oppure hanno ancora un potenziale inespresso?

S.M.: La nostra uva bianca autoctona è certamente molto conosciuta ma non valorizzata dai produttori, vestita della nomea di “vino bianco da basso costo”. Sarà difficile cambiare questo trend, a causa di cantine testarde nel vendere Verdicchio a meno di 2€.

Il Lacrima è un prodotto unico, mi sento fortunatissimo ad averlo, soprattutto in un mercato di vini (estremizzando) più o meno simili, con prodotti che diventano di difficile riconoscibilità se il consumatore non  legge l’etichetta

Questo vitigno spicca con la sua tipicità e l’unico limite che abbiamo è quello di non avere le spalle abbastanza larghe, una forza che ci permette di far conoscere a tutto il mondo la Lacrima di Morro d’Alba.

Da quando nel 1985 è stata riconosciuta la DOC, gli ettari vitati erano solamente 7, arrivando oggi a circa 300 ettari certificati. Una crescita praticamente ferma per i primi dieci anni per il Lacrima, così molti produttori decisero di puntare ancora sui vari Verdicchio, Montepulciano, Sangiovese, non credendo nelle potenzialità del nostro vitigno marchigiano.

Per fortuna, grazie a persone che hanno avuto la forza di divulgarlo, farlo conoscere, a far galoppare questo cavallo, siamo riusciti a far esprimere le potenzialità di questo vitigno e molti produttori (in ritardo) hanno cercato di aggrapparsi alla coda di questo cavallo di razza.

Come vedi il futuro del vino marchigiano?

S.M: A prescindere dal concetto di qualità, un aspetto su cui lavorare parecchio è il marketing, il saper far conoscere e saper vendere il vino della regione Marche. Prendiamo ad esempio il Lacrima, che in quasi quarant’anni è certamente cresciuto, ma non abbastanza per le proprie potenzialità, causa mancata efficace comunicazione.

Vista la moltitudine di opere artistiche, il territorio da scoprire, il vino di qualità presente nella Regione, un giusto concetto di marketing fatto in maniera adeguata valorizzerebbe il Lacrima. Un vitigno prodotto a Morro d’Alba, un vino a denominazione “Lacrima di Morro d’Alba” può certamente attrarre visitatori da ogni parte del mondo, seguendo il percorso di località come Montepulciano, Montalcino, Montefalco, Barolo, che brulicano di persone dalla mattina alla sera, portando ricchezza, grazie anche al richiamo dei vitgni autoctoni.

Qualcuno potrebbe giustamente pensare “certo, parli da vignaiolo e ovviamente vuoi che vengano a visitare la tua cantina”

Vero, ma io, Stefano, rispondo: “Assolutamente, ma il visitatore una volta uscito dalla Cantina Mancinelli, dovrà pur mangiare, dovrà pur dormire, vorrà pur visitare la zona di Morro d’Alba”. Non bisogna pensare solo al denaro speso dall’ enoturista, ma alla possibilità di aumentare il valore di una determinata zona, gli edifici, case appartamenti.       È un concetto base che non deve limitarsi al solo proprio orticello, ma deve portare unione commerciale a livello regionale.

Mentre il futuro dell’azienda Mancinelli come lo vedi?

S.M. Beh, spero in maniera più rosea possibile, la mia strada l’ho percorsa e ho due figli che potrebbero continuare a scrivere questa storia, anche se uno dei due ha intrapreso una carriera da informatico, mentre l’altro fortunatamente si è avvicinato a questo mondo fatto di vigna e cantina.

L’unico problema di questo lavoro, un tempo per me vissuto come hobby e in maniera giocosa, oggi è una complessa macchina burocratica, dove il tempo per il 70/80% è impegnato alla compilazione di carte e pratiche.

Tempo, a mio avviso, sprecato, che potrebbe essere utilizzato per altre situazioni, sia da chi sta dietro alle carte, che da noi vignaioli obbligati a compilare inutili scartoffie.

 Alla parete vedo parecchi premi esposti, vuoi raccontarci qualche aneddoto e un vino a te caro?

S.M. I premi sono motivo di orgoglio, se pensiamo che ci sono voluti anche diversi anni per riceverne i primi, dovendo dimostrare di fare un prodotto meritevole, distinguibile ed apprezzato.

Mi piace guardare questi premi con soddisfazione personale, senza farne proclami giornalistici o pubblicazioni sui social, restando così fedeli alla nostra filosofia, ovvero che “i premi sono soggettivi di chi emette il riconoscimento”. Non è detto che ogni consumatore apprezzi il vino premiato, qui entra in gioco il gusto personale. In passato molte persone munite di guida e relativi premi, chiedevano senza nemmeno aver assaggiato un determinato prodotto. Chiaramente ho sempre detto “Prima lo assaggi e, se ti piace, puoi prenderne anche 36 bottiglie”. Ciò per rendere coscienti le persone a non affidarsi solamente ad un premio dal “relativo valore”, ma farsi trasportare del proprio gusto e piacere personale, del proprio palato.

Personalmente il prodotto che mi affascina di più è il passito “Re Sole” Marche Rosso IGT, una produzione non sempre costante di 8/9000 bottiglie. Non costante a causa della vinificazione particolare e uve qualitativamente non sempre all’altezza della qualità necessaria. Proprio per questo motivo non produco il passito in tutte le annate, per evitare di rovinarmi la carriera.

Qualche abbinamento adatto ai vini?

S.M.: Il Lacrima, essendo un vino profumato, si abbina bene a piatti aromatici e speziati.

Piatti della tradizione locale sono sicuramente cacciagione, coniglio e porchetta, piatti come il brodetto di pesce.

I dolci secchi si sposano con il passito “Re Sole” , mentre accosterei il Passito di Verdicchio a dolci al cucchiaio e creme, o formaggi erborinati.

Una chiacchierata divertente con Stefano, una persona squisita, gentile e pacata.

ASPI ringrazia Mancinelli Vini per il tempo concessoci.

Di seguito i recapiti per coloro che volessero assaggiare i prodotti:

Mancinelli Vini

Via Roma, 62

60030 Morro D’Alba (AN)

Tel. 0731 63021

Email : info@mancinellivini.it

stefano@mancinellivini.it

Ringraziamo i lettori e auspichiamo di averli fatti divertire in questo viaggio tra Lacrima e Verdicchio.

Alla prossima lettura con ASPI Sommelier Italiani.

Buon vino a tutti.

Intervista a cura di  Simone Della Torre